Bathory
- fahrenheit2022zp
- 31 ott 2022
- Tempo di lettura: 13 min
Nota di S.
Ciò che è qui narrato è un manoscritto ritrovato da uno dei soldati a servizio
dell’imperatore Mattia II d’Asburgo, presso il villaggio ai piedi del castello Cachtice,
ormai semiabbandonato se non per me, i pochi soldati e i pochissimi coloni rimasti,
in precedenza di proprietà della trapassata Contessa Bathory ormai nota in tutto
l’impero come “Contessa sanguinaria” a causa delle terribili azioni da lei perpetrate
nel suo castello a danno di centinaia di innocenti e dalle pratiche di magia nera di cui
fu accusata. A parer mio molto di ciò che si dice a danno della Contessa è stato
ingigantito sia nelle accuse, sia nei racconti popolari degli abitanti vicini e va
specificato che non sono mai state trovate prove di tale orrore incredibile enunciato
dai fantastici racconti dei popolani dato che il villaggio presso Il castello è
completamente sgombro e nessuno è dunque in grado di smentirle o confermarle.
Al loro arrivo i soldati non trovarono nessuno, anche gli animali erano spariti senza
lasciare traccia. Sebbene questo sia un avvenimento tanto bizzarro quanto
inspiegabile e, per le menti più fragili, tanto terrificante da giustificare anche le più
terribili fantasie, non ha alcun potere accusatorio nei riguardi della Contessa in
quanto non è possibile fare un’ipotesi concreta su quanto accaduto (fino al
ritrovamento di questo manoscritto, invito il lettore a pazientare poiché è
necessario che si abbiano alcune informazioni, in larga parte già esposte, per capire
al meglio questo documento).
Ciò che condusse all’inscurirsi di tali leggende nere e alle tremende e talvolta pure
esagerate accuse rivolte alla Contessa era il fatto che all’interno del castello furono
trovati numerosissimi corpi in decomposizione e altri freschi che la servitù composta
esclusivamente da donne giovani, quasi bambine alcune, era obbligata a mangiare
per poter sopravvivere data la scarsità di cibo loro concessa. Furono trovati cadaveri
femminili appesi con ganci per le caviglie con il ventre aperto e privi di occhi, tutti
raccolti in una stanza come i macellai fanno per gli animali destinati a diventare
insaccati, sotto di loro era posto un secchio in cui il sangue colava. Questo fa
presumere, data anche la poca presenza di sangue sulla parte superiore del corpo e
l’abbondanza di sangue alle caviglie, la gola danneggiata e l’assenza degli occhi, che
furono appese vive per diverso tempo nel quale le povere anime gridavano fino a
distruggere le corde vocali, dopodiché venivano cavati gli occhi causando il
sanguinamento copioso che le uccideva in un tempo seppur abbastanza breve,
terribilmente lungo e che andava poi a riempire quei secchi e infine, senza motivo
apparente, veniva aperto il ventre e ad alcuni corpi mancavano organi quali fegato,
pancreas e reni. Il sangue delle vittime andava a riempire delle vasche dentro cui è
noto che la Contessa si lavasse.
La Contessa fu accusata insieme a suoi complici che dichiararono di eseguire gli
ordini per garantire alla Bathory vita e bellezza eterna tramite quelle torture.
I complici furono giustiziati insieme alle poche guardie del castello che non si
opposero alla cattura e non dissero una parola a nessuno, rimasero muti anche se
sottoposti a dolore fisico. La servitù impazzì e molte donne si suicidarono mentre le
poche sopravvissute al castello e poi al desiderio di togliersi la vita furono spedite in
convento. La Contessa Bathory venne condannata e murata viva e morì dopo
quattro anni. Da allora sono passati due anni e da poco prima della sua morte io, un
monaco francescano che aveva dedicato la vita alla preghiera e lo studio dei testi
antichi benché ciò sia più comune tra i domenicani, fui inviato qui, nel suo castello
con lo scopo di aiutare spiritualmente i nuovi soldati di guardia non immuni alla
paura che la Contessa sanguinaria infondeva anche solo con l’idea della sua
presenza, a supportare spiritualmente i nuovi abitanti che sarebbero arrivati e infine
fare indagini su ciò che realmente è successo al villaggio date le mie abilità nel
trovare informazioni e la mia conoscenza.
Come ho già scritto, pochi mesi dopo il mio arrivo, la Bathory morì e soldati avevano
molta meno paura seppur avessero ancora certe superstizioni, i coloni arrivati erano
molto pochi e alcuni rimanevano per poco dato che abbandonavano il luogo anche
andando contro gli ordini dei signori feudali che a loro volta non volevano quella
terra tra i loro possedimenti. Il territorio fu quindi spesso spartito e non furono mai
trovati effettivamente indizi di nulla oltre ciò che i soldati che irruppero nel castello
sei anni orsono hanno raccontato e che ho già riportato, tolte ovviamente le
testimonianze dei soldati dalla mente più debole che rammentavano strane luci,
versi gutturali e non umani provenire dagli angoli bui del castello dove altri mi
confermano che non ci fosse nulla, e creature come piccoli trogloditi dalla forma
umanoide che erano stati visti nel buio per pochi e brevissimi istanti nei lunghi
corridoi. Tali testimonianze erano poche e isolate, mi è stato confermato dagli altri
soldati, che mantennero il sangue freddo, che nessuna di queste fantastiche
affermazioni era condivisa da quelli che erano con loro in quel momento e che
dunque tali affermazioni non erano credibili e così per questi due anni mi convinsi
che tutto ciò era frutto di menti che non avevano mai visto nulla di così cruento e
che, prese da un terrore cui non potevano fare fronte in quel momento,
riconoscessero forme e suoni dove in realtà non c’era mai stato nulla ma adesso che
mi è giunta questa testimonianza scritta, sono propenso a credere che tutto ciò sia
vero, o sarebbe meglio dire che lo temo a tal punto che la mia permanenza in
questo posto è ormai una tortura, come mi sono reso conto che le leggende nere dei
paesani su ciò che succedeva qui sono ben più positive e contengano ipotesi molto
più rosee e molto meno terrificanti di quanto loro, che non hanno letto questa
testimonianza, possano immaginare. Non hanno idea del fatto che ciò che è qui
narrato mi riporta alla mente misteri presenti solo in libri antichissimi, maledetti e
non più ritrovabili, scritti secoli prima della nascita di Cristo da arabi folli, con
informazioni che nessuno dotato di ragione può ritenere reali. Fino ad ora.
Non riesco a sopportare il ricordo di ciò che ho letto e dei luoghi orribili e tremendi
in cui le mie considerazioni e ragionamenti hanno portato la mia mente. Il pensiero
di ciò mi toglie il sonno e mi porta la nostalgia della noia monotona della mia
precedente permanenza che ho passato, ignaro dei terribili misteri incomprensibili
racchiusi nel breve passato di questo castello così come ora invidio l’ignoranza di
coloro che non possiedono alcuna informazione in merito, e mia fa impazzire il
pensiero di ciò che hanno passato quelle povere anime che vivevano nel villaggio e
del destino tanto orribile da far impallidire qualsiasi inferno, diavolo o tortura eterna
descritta da Dante nella sua Commedia oltre a farmi dubitare dell’esistenza di Dio e
di tutto ciò che prima pensavo fosse certo, reale e tangibile.
Soprattutto ho il terrore di cosa sia successo in quella stanza maledetta dove la
Contessa è stata murata e quali orribili infinite mostruosità si annidassero nel buio e
il non poter saperlo è una condanna per far vagare la mia mente in antri così oscuri
che non ne ritenevo possibile l’esistenza e al contempo la mia salvezza perché sono
certo che se sapessi anche in minima parte ciò che accadde lì ora sarei o morto o
impazzito completamente o peggio. Molto peggio temo.
Questo resoconto mi ha dato un’idea di ciò che accadde ma non riporterò per intero
ciò che vi è scritto e ho già provveduto a distruggere l’originale. Nessuno deve o
dovrà mai sapere tutto ciò che racchiude.
Caro lettore, se sei arrivato a questo punto ti consiglio vivamente di non indagare
oltre e di non provare a cercare altre informazioni perché sebbene trovi quasi
impossibile che venga scoperto altro, io temo che ci si possa imbattere in qualcosa
di oscuro e che non si riduca solo a dell’inchiostro.
Non divulgherò altre informazioni né su di me né su ciò che accadde o altro che
possa dare chiarimenti su qualcosa di così tremendo.
Da qui in poi segue la testimonianza incompleta che ho diviso più parti nel tentativo
di renderne più chiara la lettura.
Prego per la tua anima, lettore, sempre se l’anima esiste.
Addio.
Firmato S.
Manoscritto di un paesano
I
Non mi resta che accettare la mia sorte. Ciò che mi aspetta fa impallidire la morte.
Chiunque legga questa storia sappia che mi dispiace di averla trascritta.
Il desiderio di non essere dimenticato e di razionalizzare tutto l’accaduto ha
surclassato il desiderio di salvaguardare altri umani, per questo invito chi sta
leggendo di interrompere immediatamente dopo aver letto che il mio nome è
Nicosor, sono nato nell’anno 1586 e la mia morte, che arriverà a breve, avverrà nel
1610.
Sono un contadino e abitavo nel villaggio presso il castello Cachtice di proprietà
della nobile Bathory, con mio fratello minore Julian.
Il motivo per cui un semplice contadino sia in grado di leggere e scrivere è che mio
padre e mia madre non erano come me. Da quanto mi ricordo mia madre era stata
educata da delle suore ma non conosco bene i dettagli perché i miei genitori
sparirono quando avevo undici anni senza mai avermi rivelato effettivamente nulla
riguardante il loro passato, Julian allora era nato da poco. Sta di fatto che mia madre
possedeva molti libri antichi e mi educò a leggere e scrivere, data la sua scomparsa
tutti i libri antichi di suo possedimento passarono a me così ebbi modo di leggere
quei libri da solo per poi fare come mia madre fece con me a mio fratello. Dalla loro
scomparsa ho cresciuto io Julian, che naturalmente non si ricorda dei suoi genitori,
educandolo alla lettura e alla scrittura, facendogli prima scrivere le lettere, poi
parole, poi semplici frasi di poi capitoli di alcuni libri di mia madre, salendo sempre
di più di difficoltà. I libri lasciati da mia madre sono di molti tipi, da poemi come
l’Iliade o l’Odissea a trattati filosofici, tra cui le opere di Platone come La Repubblica
che so da mia madre essere molto pochi perché non sono in molti ad avere la
capacità di tradurre la sua lingua originale. Da questi testi riesco a far sfuggire mio
fratello e me stesso dalla nostra vita quotidiana di contadini e ad insegnarli molte
cose sul mondo esterno al villaggio, molto più di quanto possa capire facendo
questa vita. Nemmeno mio padre era esente dalla differenza rispetto a un comune
contadino, lui era capace di leggere e scrivere sebbene le sue abilità
nell’insegnamento dei filosofi fossero abissalmente minori rispetto a quelle di mia
madre così come il suo intelletto di tipo teorico, tuttavia era in grado di cacciare con
il suo arco, di usare il coltello per difendersi e coltivare in maniera molto efficiente e
mi insegnò le pratiche di tali attività in cui a quest’ultima aggiungo informazioni
prese dai libri di mia madre come, ad esempio, dai testi di Catone.
Come ho già detto, i miei genitori scomparvero senza lasciare traccia. La cosa non
lasciò molto scalpore, in questo villaggio le persone spariscono molto spesso.
Il motivo per cui insisto tanto con Julian nell’insegnamento e nella lettura è per farlo
evadere da questa realtà dove non c’è altro che coltivare la terra della nobile
Bathory e il terrore di poter sparire nel nulla.
Per i primi undici anni della mia vita ho potuto affrontare questa realtà meglio
rispetto ai miei coetanei del villaggio data la forte influenza degli insegnamenti dei
miei genitori e in particolare nell’immersione in epici viaggi e avventure ma da
quando sono spariti ho dovuto affrontare questa realtà in tutto il suo deprimente e
terrificante peso.
Nel villaggio spesso le persone scomparivano, soprattutto giovani ragazze. Né la
nobile Bathory, sempre chiusa nel castello e disinteressata alle nostre vite, né i
soldati hanno mai fatto nulla.
I paesani odiavano i pochi soldati a guardia del castello che occasionalmente
venivamo a reperire i viveri da noi prodotti per essere poi portati nel castello, per il
fatto che nessuno di loro faceva nulla per fermare le sparizioni o indagare o quanto
meno tentare di fare qualcosa, e la nobile Bathory, che non badava alle condizioni di
coloro che coltivano la sua terra e che provvedono ai suoi approvvigionamenti.
Alcuni credevano che fossero i soldati a portare via le ragazze, ma già allora io
sapevo che non è così perché se così fosse sarebbe impossibile che non abbiano mai
lasciato una traccia o che nessuna ragazza abbia mai gridato e in più i soldati non
erano interessati a noi.
Erano quasi come sonnolenti, con grandi occhiaie e notai bene che non guardavano
a noi come qualcuno di inferiore da reprimere a colpi di bastone o uno sfogo per la
frustrazione e la noia o un modo in cui si può sfogare le proprie pulsioni primordiali.
Ci guardavano con indifferenza e tristezza, erano freddi e nemmeno nei casi di
proteste di qualche paesano ritengono necessario l’uso della forza, come se ciò non
avesse il minimo peso o importanza. Anzi, ho notato che ci guardavano con pietà, e
questo mi fece intuire che allora avevano almeno una vaga idea riguardante le
persone scomparse, e che non potevano fare nulla a riguardo, solo cercare di andare
avanti, ma non è solo questo. Era evidente che dietro quel volto di pietra c’era
anche timore, forse di subire la stessa sorte. Nulla di tutto ciò era in qualche modo
confermabile. Ciò che era certo era che questa calamità era qualcosa da temere.
Altri paesani pensavano che la nobile Bathory avesse stretto un patto con il diavolo,
concedendo la vita e l’anima degli spariti in cambio di potere, bellezza eterna e
denaro, concedendo così l’accesso a legioni di silenziosi demoni al nostro mondo
tramite un portale da lei creato con la magia nera.
La superstizione ha avuto il sopravvento sulla loro mente, ma sono pochi e
tendenzialmente giovani che cercavano in modo goffo e superficiale di cercare di
dare spiegazione a questi avvenimenti, talvolta dicendo di vedere creature e strane luci nel bosco, accompagnati da una figura con un mantello giallo il cui volto non era
visibile. Ovviamente nessuna di queste affermazioni era minimante considerata
perché nel villaggio eravamo pochi e se qualcuno avesse veduto cose simili,
sicuramente molti altri avrebbero confermato. Gli adulti e gli anziani non cercavano
più di spiegare nulla, semplicemente andavano avanti con le loro mansioni, senza
discutere, lamentarsi o fare nulla per le scomparse. Cercando di parlare con loro
della calamità, non facevano altro che dire che non c’è nulla da fare e che gli
dispiaceva per gli scomparsi. Nient’altro. Non osavano proseguire la conversazione.
Sono certo che quelli che avessero più paura di ciò erano loro, dato che sapevano
che il loro momento si avvicinava. Nessuno moriva più di vecchiaia qui negli ultimi
anni. Ogni singola anima ad un certo punto spariva senza lasciare alcuna traccia,
seguendo il destino dei nostri predecessori, e nessuno andò mai oltre i quarantadue
anni. Alcuni potrebbero pensare che sia normale che le persone a questa età
passino all’altro mondo, dato che generalmente si sparisce anche prima, ma il fatto
terrificante e caratteristico di questo posto è che non si parla di morte naturale o di
vecchiaia.
La gente spariva nel nulla regolarmente. Come già detto, le donne erano afflitte di
più, specialmente le giovani, ma a un certo punto anche gli altri sparivano. Alle volte
anche i bambini, benché ciò era più raro. Ed è proprio questo l’aspetto che mi faceva
più paura. Io, come tutti gli altri ormai, ero completamente desensibilizzato all’idea
di sparire, ma non riuscivo a sopportare il pensiero che Julian venisse preso e
morisse senza apparente ragione, consolazione o informazione. Ogni cosa che
veniva detta su queste sparizioni poteva essere vera, non potendo avere alcun tipo
di informazione. Spesso, forse troppo, la mia mente finva in considerazioni orribili su
ciò che accade quando si scompare, e all’idea che il prossimo protagonista di tale
vicenda fosse mio fratello.
Questo mi spinse a perseverare nella direzione logica dell’empirismo e che ho
troppe poche informazioni riguardanti questo avvenimento, che la soluzione più
semplice è quella più probabile e corretta. Ma questo non cancellava minimamente
il terrore e il dolore, che un giorno avremmo tutti dovuto per forza saltare in quel
pozzo buio che tanto terrorizza e che allora avrei lasciato Julian da solo ad affrontare
questo crudele destino.
Fino a poco tempo fa continuavo a dirigere la mia vita, alternando momenti di
terrore che ho imparato a nascondere agli occhi degli altri, a momenti di fredda
ragionevolezza, diventando sempre più insensibile all’argomento, semplicemente
perché, come ogni altro giovane del villaggio, avevo fatto i miei ragionamenti sul
nostro destino, tenendoli per me a differenza degli altri, ripetendoli e modificandoli
ancora e ancora fino a quando non rimasi con sempre meno pensieri a riguardo, fino a quando non dovetti riciclarli tutti quanti col solito e sempre più inefficace
razionalismo empiristico.
Anche mio fratello me parlava di tanto in tanto, e io allora cercavo di far notare che
qualunque cosa sia non è differente dai classici modi di morire che noi tutti
dobbiamo affrontare, e l’assenza di consapevolezza di che morte potremmo morire,
e, secondo la filosofia di Epicuro, finché siamo vivi non siamo morti quindi non
abbiamo nulla di cui preoccuparci. A quel punto Julian mi faceva notare che non è
molto coerente per un cristiano dare credito a un filosofo che non credeva
nell’anima, ma a quel punto gli ricordavo che ciò non implica che tutto ciò che
Epicuro ha detto è privo di valore, dato che nessuno di noi è perfetto e che
nasciamo in contesti molto diversificati tra loro, che un pensiero può svilupparsi
anche in base all’esperienza che non può essere separata dalla razionalità,
rammentandogli così il poema di Parmenide.
Nonostante avesse ancora molto da imparare, Julian aveva molte conoscenze ed era
molto bravo, di giorno in giorno, di conversazione in conversazione, divenni sempre
più fiero di lui e della sua straordinaria padronanza di ciò che gli insegnavo anche se
la mia abilità nell’educare era nettamente inferiore rispetto a quelle di mia madre.
Era ormai un anno che aveva imparato eccellentemente a leggere e scrivere. Da
allora siamo passati alla lettura e comprensione dei filosofi, dei poemi e delle
avventure che tanto aiutano ad evadere al meglio questa realtà. Inoltre,
incoraggiavo Julian a trascrivere tutte le informazioni che riesce a trovare sulle
leggende locali e delle creature che si dice che abitano nella zona. Trascrivendo tutte
quelle informazioni lo inducevo poi a notare tutte le mancanze e incoerenze nelle
storie, insegnandogli come distinguere le storie inventate e tutte quelle aventi un
fondo di verità e così distinguere la radice umana, troppo umana per essere reale
effettivamente.
In questo modo cercavo di fargli avere un’idea molto più razionale della situazione,
un modo per esorcizzare la paura e il cinismo dovuti a questa. La mia idea andò
contro la realtà molto presto.
Era gennaio quando accadde la vicenda di Aladar. La sua famiglia era una delle più
numerose del villaggio, anche se nei precedenti 2 anni erano scomparsi 2 suoi
membri di cui non rammento il grado di parentela e la scomparsa della figlia di
questi a causa di una tremenda febbre, ma era anche una delle famiglie più povere.
La malinconia portata da queste perdite ne peggiorò ancora di più la situazione.
Quel giorno di gennaio, intorno a mezzogiorno, Aladar uscì nella piazzetta del
villaggio, allora si inginocchiò sulla sottile coltre di neve, e iniziò ad urlare
disperatamente e piangere come un bambino, con tutto il fiato che aveva in corpo.
Uscimmo tutti a controllare, inizialmente preoccupati, come riscontrai dalle
espressioni degli altri compaesani. Lui ci guardò con i suoi occhi colmi di lacrime e
iniettati di sangue. Aveva del letame tra le mani. Tra un singhiozzo e l’altro, prese la
strada che portava al castello. Lo seguimmo, camminando lungo quella salita,
rimanendo a debita distanza da lui. Arrivò al cancello, chiuso ma sgombro, come al
solito, di ogni guardia, dato che loro prendevano vie secondarie e più brevi per
scendere al villaggio.
Lì Aladar iniziò a lanciare il letame che portava con sé contro al cancello, e presto
ricominciò con le urla, i singhiozzi e il suo pianto pietoso. Completamente distrutto,
sfogava tutto il suo dolore contro l’unico colpevole identificabile.
Nessuno di noi si avvicinò. Nessuno provò ad aiutarlo, a consolarlo, offrigli una
coperta o quanto meno mettergli una mano sulla spalla. Rimanemmo fissi ad
osservare con uno sguardo di pietra. Forse perché non avevamo idea di come
consolarlo, perché in realtà tutti noi provavamo lo stesso che provava lui, o forse
perché eravamo solo dei vigliacchi che preferivano non affrontare realmente la
situazione e le sue lacrime, che erano quelle che si annidavano dentro ognuno di
noi. Per tutto il tempo nessuno aprì bocca.
Quando si esaurirono il letame nelle mani e le lacrime negli occhi, noi tornammo
indietro.
Per tutto il giorno e la notte nessuno lo vide tornare indietro. Pensavo, come tutti gli
altri suppongo, che avesse deciso di farla finita, di lasciare che la morte lo portasse
via tramite il freddo o qualche lupo. Andai a dormire consapevole del fatto che
ormai nel villaggio non eravamo più in molti. La mattina dopo sarei andato a
recuperare il suo corpo o quanto meno ciò che rimaneva davanti al cancello. La
mattina dopo notammo invece che la casa di Aladar aveva porte e finestre sfondate.
La casa era vuota. Nessuno della famiglia si trovava da nessuna parte. Nessuna
traccia di chi abbia distrutto gli ingressi. Nessun segno oltre la porta e le finestre
completamente a pezzi. Niente urla o movimenti notati. Nemmeno davanti al
cancello c’era la minima traccia di Aladar.
Era forse per il suo gesto irriverente?
La gente spariva dal villaggio regolarmente, però era la prima volta che erano rimasti
dei segni del genere, ed era la prima volta che sparivano 7 persone in una notte.
Bathory di Bernieri Jacopo, Zucconi Sofia, Camisa Alessandro
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